E’ quanto afferma un team di ricercatori dell’università del Maryland insieme ad un’equipe del Campus Biomedico e dell’Area Science Park di Trieste.
Secondo gli scienziati, il virus europeo-americano sarebbe il frutto di una mutazione che ha generato un diverso “ceppo” rispetto all’originario cinese, che sarebbe più contagioso.
Campionando l’intero RNA del virus, i ricercatori hanno, infatti, scoperto una mutazione dell’enzima della polimerasi che lo renderebbe più instabile e potenzialmente più infettivo.
“Nel nostro database – come hanno scritto sulla rivista Journal of Translational Medicine – la prima comparsa di questa mutazione è del 9 febbraio in Gran Bretagna, quando un drammatico incremento dei pazienti infettati in Europa viene registrato dall’Oms”.
“Il tasso di mutazione dei virus a Rna è molto alto, fino a un milione di volte più alto di quello dei loro ospiti: questo serve al virus per adattarsi, modulando la sua virulenza” scrivono gli scienziati.
Se Covid-19 continuasse a cambiare, anche di poco, le sue caratteristiche di base, c’è un rischio concreto che possa diventare irriconoscibile per la memoria del sistema immunitario nelle persone guarite o vaccinate o che impari a resistere ai farmaci, rendendo quindi inutili vaccini e terapie.
Molti degli antivirali usati oggi negli ospedali cercano di neutralizzare l’enzima polimerasi.
“Il nostro risultato ci aiuta a comprendere meglio il comportamento del virus” commenta Massimo Ciccozzi, epidemiologo molecolare del Campus Biomedico e direttore dell’unità di statistica medica.
“In prospettiva, ci aiuterà a mettere a punto un vaccino specifico e a capire quali sono le terapie più adeguate”.