Che vogliamo fare?
Scriverne, almeno.
O meglio leggere quanto riportiamo si tratta di un articolo pubblicato su rinnovabili.it che ci descrive un quadro certamente non incoraggiante, se non nella misura in cui ci serva per …trovare il coraggio di attuare una rivoluzione, delle menti in primis.
Sul fronte della sostenibilità ambientale, l’Italia scende, in soli 2 anni, dal 16° al 20° posto nella classifica
Tutela della biodiversità e degli habitat naturali, quantità di copertura forestale, vitalità degli ecosistemi, politiche climatiche, qualità di aria e acqua. Sono questi i parametri su cui si basa il rapporto dell’EPI (Environmental Prestation Index) per valutare, ogni due anni, l’andamento della sostenibilità ambientale globale. Il dossier, realizzato dalle università di Yale e Columbia University, nasce con l’obiettivo di analizzare le politiche ambientali di 180 paesi sulla base 32 indicatori di performance. Il 4 giugno 2020 è uscita l’ultima edizione che aggiorna le pagelle nazionali e la classifica dei più e meno bravi. E aggiunge nuovi indicatori rispetto al 2018 per approfondire l’analisi dei servizi ecosistemici e dei cambiamenti climatici.
Nella Top Five 2020 per la sostenibilità ambientale globale vi sono la Danimarca, al primo posto, seguita da Lussemburgo, Svizzera, Regno Unito e Francia. Le prime undici posizioni sono tutte occupate da Paesi europei: dopo la Francia ci sono, infatti, Austria, Finlandia, Svezia, Norvegia, Germania e Paesi Bassi. Questi posti sono dedicati a chi è stato in grado di varare impegni di lunga data per la protezione della salute pubblica, la tutela delle risorse naturali e il disaccoppiamento della crescita economica dalle emissioni di gas serra.
Rispetto all’ultimo report del 2018 l’Italia scende dalla 16° posizione alla 20°, con un indice di 71, a pari merito con Canada e Repubblica Ceca. Ad essere peggiorati sono in particolare il consumo di suolo e la perdita e la frammentazione degli habitat che la posizionano al 166° nella classifica generale. Negativi anche gli indici per il sovra-sfruttamento degli stock ittici e la tutela degli ecosistemi marini, per cui ci guadagniamo il 108°, per la quantità di CO2, CH4 e N2O immesse in atmosfera e per i gas serra emessi pro capite, rispettivamente al 111° e 118° posto.
Non mancano, però, alcuni segnali positivi. Siamo al primo posto per quanto concerne l’indicatore di protezione del bioma terrestre, al 10° per lo stato di salute degli stock ittici, all’11° per la qualità dell’acqua potabile. Siamo inoltre 25esimi per l’esposizione al piombo e al 29° per quanto riguarda la vitalità degli ecosistemi.
La classifica dell’EPI sulla sostenibilità ambientale per il 2020 mette in luce i punti critici e i problemi delle agende politiche ancor più visibili a causa del periodo di crisi dovuto a COVID-19. La pandemia è riuscita a mettere in luce, scrivono i ricercatori, “l’interdipendenza di tutte le nazioni e l’importanza di investire nella resilienza”. Il “forte calo dei livelli di inquinamento e il ritorno della fauna selvatica” avvenuti a causa delle misure di lockdown hanno dato, per i ricercatori di EPI, un “inaspettato scorcio di come potrebbe apparire un pianeta sostenibile dal punto di vista ecologico, sebbene a un prezzo terribile in termini di salute pubblica e danni economici”. Se riuscissimo a trarne ispirazione potremmo realizzare quella “trasformazione politica necessaria per un futuro sostenibile che sia economicamente forte e rispettoso dell’ambiente”.