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PERCHE’ IL PIANO DI SOLINAS PER REGOLAMENTARE GLI INGRESSI IN SARDEGNA NON REGGE

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Vi abbiamo già scritto in merito alle aperture – plausibili ed auspicabili – annunciate dai 3 Governatori di Liguria, Sicilia e Sardegna dopo il 3 giugno p.v.

E vi abbiamo anche “raccontato” a quali condizioni, reali o supposte, i 3 Presidenti vorrebbero che si attuino, a garanzia di una salvaguardia sanitaria che sia puntuale ed efficace.

Ovviamente le reazioni ed i commenti non hanno tardato a farsi avanti, argomentando – alcuni in modo grossolano, altri  – invece – mostrando una approfondita conoscenze scientifica dell’argomento.

Proprio di uno di questi vi proponiamo la lettura, così da darvi la possibilità di esprimere anche un vostro personale parere.

Corriere.it scrive:

Il piano di Solinas

Vediamo perché, partendo dal piano di Solinas. Il governatore della Sardegna ha detto che: «Noi chiediamo che i viaggiatori certifichino prima di partire la propria negatività al virus. In maniera semplice e senza costi proibitivi, che poi comunque rimborseremo, le persone dovrebbero poter fare nei laboratori della propria città o dal proprio medico di famiglia dei test che siano validati poi dalle autorità sanitarie. Ora sta al governo fare la sua parte e semplificare l’accesso ai test. Se questo verrà fatto, sarà poco rilevante che si arrivi da questa o quella regione, perché sarà certificato lo stato personale rispetto al virus». Se il governo non darà risposte, Solinas ha già pronto un piano B per porti e aeroporti: «Utilizzeremo un’app per la registrazione degli ingressi, un questionario epidemiologico per l’accesso e un’autocertificazione oltre che gli ordinari controlli sulla temperatura». 

I test (che ancora non ci sono) sulla saliva

Qual è il problema del certificato di negatività, che continua a piacere anche al governatore della Sicilia Nello Musumeci? Solinas parla di test rapidi molecolari sulla saliva, che in Europa e in Italia non sono disponibili e validati e hanno iniziato a circolare solo negli Stati Uniti, nel New Jersey. Ci sono aziende e consorzi di aziende che hanno annunciato di essere pronti a commercializzare i loro test anche in Europa, ma mancano le certificazioni. 

E i test sierologici?

Se, invece, un test sierologico venisse chiesto per fornire “sicurezza”, e alcune regioni lo facessero fare ai turisti per avere la garanzia di accogliere persone senza problemi, da solo non basterebbe. Innanzitutto il test più attendibile (e l’unico validato) è quello che si effettua con un prelievo di sangue in un laboratorio ed eseguito tramite tecnologia diagnostica CLIA e/o ELISA. Il responso quindi non è immediato ma servono un paio di giorni (tempo molto variabile ovviamene a seconda della capacità diagnostica dei laboratori e della coda da smaltire). Come sappiamo, il test certifica la presenza di due tipi di anticorpi, le IgM ci dicono che siamo venuti a contatto con il virus di recente, le IgG in passato. Il responso che servirebbe a un turista è essere negativo alle IgM e positivo alle IgG che fotografa il fatto di aver contratto l’infezione in passato. Ma – abbiamo scritto – non basta, perché questo passato non è quantificato: l’infezione potrebbe ancora essere presente e quindi il soggetto contagioso e per saperlo serve un tampone.

Il problema della durata della protezione

C’è da dire che la presenza di anticorpi non indica nemmeno se essi siano neutralizzanti (anche se pare di sì) ma soprattutto quanto duri la protezione: alcune persone potrebbero essersi infettate a gennaio ormai quasi cinque mesi fa, siamo sicuri siano ancora immuni? Non siamo sicuri, anche se basandoci su altri coronavirus pensiamo di sì. Quindi il turista, per essere sicuro di non infettare nessuno, deve perlomeno avere un test sierologico con IgM negative e IgG positive e un tampone negativo. Ma sui tamponi arriva il problema. La maggior parte delle Regioni che hanno liberalizzato i test fatti tramite privati, a fronte di presenza di anticorpi IgG positive costringono al tampone e qui i tempi si allungano: se anche può farlo lo stesso laboratorio privato bisogna attendere giorni (anche qui dipende dall’intasamento delle liste), oppure lo si deve fare tramite ATS e anche qui serve mettersi “in coda” (dipende dai singoli territori). Ma non è finita: i laboratori privati hanno l’obbligo di segnalare la positività al test alle ATS o medici di medicina generale e la persona deve attendere l’esito del tampone in quarantena, quindi non certo in spiaggia in mezzo agli altri con tutto quel che è venuto fuori nei passati mesi sulla celerità della diagnosi tramite tampone. 

La zona «franca»

Non a caso la proposta iniziale della Regione Sardegna era gestire tutto da sola cercando di accelerare i tempi: test e tamponi fatti in loco con zona «franca» in hotel in cui attendere i risultati. Una complicazione che anche gli ospedali hanno faticato a gestire (la divisione in sicurezza tra persone Covid, sospette Covid e non Covid) e che rischia di generare caos e problemi vari. Potrebbero entrare solo i turisti con in mano già entrambi i test (con tutti i dubbi sollevati sopra), oppure fare tutta la trafila in vacanza. Ma sarebbe vacanza? E quanti giorni ci vorrebbero?

 

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