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Sicilia amara, anche Federica deve emigrare…

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Anche Federica è partita. Nel suo profilo Facebook ha postato una foto dall’aeroporto di Catania e ha scritto: “Vado a Torino”. Poi ancora: “Coraggio”. Una sola parola per consolarsi e consolare.

Federica è una giovane donna, dai profondi occhi neri, dal sorriso largo e genuino, che ha speso la sua vita a studiare e formarsi. Federica ha un sogno, che poi è il sogno di tanti giovani meridionali: lavorare. Un sogno che nella strabuttanissima Sicilia, come ama definirla Pietrangelo Buttafuoco, si appresta a diventare utopia. E allora resta un’ultima speranza: emigrare, andare via…

Un viaggio che metaforicamente richiama il volo di alcuni uccelli verso luoghi che ne garantiscano la sopravvivenza.

I giovani emigrano per non morire. Morire di noia, di inettitudine, di depressione. Chi resta, se resta, lo fa perché non ha i soldi per partire e aspetta il concorso o le elezioni amministrative perché non si sa mai ci esce anche un posto, magari un turno ai servizi di Cantieri e se si ha un po’ di fortuna si può anche prendere la disoccupazione e farsi tre giorni di campeggio al mare.

Nel meridione, il novello inoccupato aspetta pazientemente una proposta di lavoro, un part-time, una giornata di lavoro anche a nero. Aspetta invano. Nel frattempo si fa giorno e si fa sera, si fa estate e si fa inverno e un bel mattino ci si sveglia con l’angoscia che il tempo sfugge, che al bar non troverà più i suoi quattro amici e che l’ultima banconota da 5 euro investita alla slot machine non l’ha reso milionario, anzi. Adesso non sa più a chi scroccare un’altra sigaretta e non può più strombazzare con il motore perché è a secco da più di una settimana e la nonna non ha ancora preso la pensione.

Lo sventurato, intanto, pensa che questa non è più vita, che non ha senso studiare e neanche andare a votare, tanto i politici fanno sempre gli interessi della casta. Il siciliano, così come il calabrese o il napoletano, sente che la sua terra è matrigna, che non ha frutti per lui. Ha dimenticato o forse non l’ha mai saputo che invece un tempo, ormai lontano, era luogo privilegiato di conquista, luogo di storia e di cultura, di ricchezza e di nobiltà. Un tempo. Ora la strabuttanissima Sicilia è terra di povertà e desolazione, di spazzatura e scorie. È terra di vecchi e di vinti, di immobilismo e rassegnazione.

Federica, intanto, è arrivata all’aeroporto Caselle di Torino e sul suo profilo Facebook scrive: “Nuova vita”. Poi ancora: “Coraggio”.

A Leonforte, nella poverissima provincia di Enna, mentre il rumore dell’acqua della Granfonte scorre incessante da quasi quattro secoli, ignorando che oltre un migliaio di giovani non toccherà più il suo suolo, Rosario va a raccogliere lumache perché la pioggerella di ieri ne farà uscire tante e magari potrà venderle all’angolo del mercato e tornare a casa con una banconota e, attendendo che arrivi la casalinga a comprarle, pensa che con le lumache potrebbe crearci un allevamento, una piccola impresa, aiutandosi con i Fondi europei. Perché no?

Di fatto, c’è chi spera ancora che nel Sud si possa vivere e cambiare.

Tania Barcellona

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