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Quanto è faticoso essere normali

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L’ultimo libro di Sergio De Santis, “Non sanno camminare sulla terra” (Mondadori), non è solo un romanzo di formazione o una saga familiare, ma la trasfigurazione letteraria di un vero e proprio percorso karmico. Il suo anti-eroe Daniele è, infatti, colui che interrompe il ripetersi ciclico di nascita e morte (evocativo del concetto orientale del samsara, l’incessante flusso della vita), in una famiglia il cui modello è l’uomo “eccezionale”. L’originalità della narrazione di De Santis sta nell’aver rappresentato, attraverso le generazioni, il tentativo del protagonista di riscattarsi dall’educazione dei padri, divenuta per i figli una vera dannazione. Più che negli altri, però, in lui l’impronta del capostipite diventa motivo di frustrazione, una vera malattia, perché essa consiste nella impossibile ricerca della perfezione o, comunque, di qualcosa che si avvicini molto ad essa.

Daniele, alla fine, è l’unico a conquistare la propria libertà da questa imposizione quasi congenita, impara dunque a “camminare sulla terra”, quando con fatica riesce ad accettare se stesso come uomo “normale”, con tutti i limiti che ciò comporta. La sua è un’impresa colossale, quasi epica, perché ciò significa per lui rinnegare desideri e convinzioni accumulatesi durante l’avvicendarsi ciclico delle generazioni. Essa, dunque, è quasi un’espiazione, una catarsi e, per ricollegarsi al percorso karmico che questa storia evoca, rappresenta proprio l’interrompersi di quel samsara che di generazione in generazione non trovava soluzione di continuità e che in lui era diventato motivo di sofferenza.

E’ la resilienza a salvarlo quando, per un’illuminazione improvvisa (la scelta di fare il lavoro che gli piace), rinnega le ambizioni dei progenitori, una tendenza atavica a porsi obiettivi troppo alti per essere realizzati e per questo caricati sui figli, e poi sui figli dei figli come un peccato originale. Daniele guarisce, infine, dal suo disagio interiore – la depressione – e accetta di viversi per l’uomo che è.

Con questo romanzo, che può considerarsi il suo capolavoro, De Santis ha portato in evidenza il male dei nostri giorni, un’epoca in cui i genitori non riescono più ad accettare i fallimenti dei propri figli, cosa che rende questi ultimi fragili e insicuri, incapaci non solo di conseguire ma anche di concepire progetti personali. E nel negare, o non riconoscere i propri desideri per realizzare le aspettative dei genitori, essi si ammalano indebolendo di conseguenza la società in cui vivono. L’autore ha dato di questa emergenza sociale una rappresentazione straordinaria, in un’ambientazione senza tempo né luogo. Il messaggio profondo è da leggere tra le righe, confrontandosi con esso come fosse per noi uno strumento di conoscenza personale, addirittura uno specchio. Non ultimo, rimane il piacere della lettura di una prosa piana e fluida in cui ogni singola parola sembra soppesata in nome di una misura che però non rinuncia, a volte inaspettatamente, a prendersi lo “sfizio” dell’originalità.

Sergio De Santis è nato a Napoli nel 1953 ed insegna storia e filosofia. Attualmente vive a Roma dove insegna storia e filosofia al liceo. Suoi racconti sono apparsi su varie riviste letterarie e antologie. Per Avagliano ha pubblicato “Malussia. Storie del vulcano muto” (2000) e il romanzo “Cronache dalla città dei crolli” (2005), finalista del Premio Strega 2006. Nel 2010 è uscito per Mondadori il romanzo “Nostalgia della ruggine” (Premio Napoli), e nel 2014, “L’opera viva”. Con l’ultimo romanzo “Non sanno camminare sulla terra”, sempre per Mondadori, De Santis è stato segnalato al Premio Strega dal critico Antonio Debenedetti.

Gloria Zarletti

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