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Le tre leggende sulla nascita del Panettone

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Sul Panettone, il più famoso dolce natalizio d’Italia, ci sono molte leggende ma queste sono quelle che noi preferiamo.

Il pan de ton, o pane di lusso

La prima storia del Panettone ha origini storiche: è documentata infatti dal conte Pietro Verri, che in un suo documento narra nel dettaglio la consuetudine natalizia tipicamente milanese della “Cerimonia del Ceppo”, momento in cui l’intera famiglia si riuniva attorno al focolare per assistere al simbolico atto con cui il pater familias spezzava il pane e lo condivideva coi presenti.

Nel XV secolo le corporazioni di Milano decisero che la consueta divisione tra pane dei poveri (pane di miglio, detto pan de mej) e pane dei ricchi e dei nobili (pane bianco, detto micca) non doveva sussistere nel giorno di Natale, quando tutti potevano consumare lo stesso pane, simbolo di uguaglianza e condivisione.
Era il “Pan de’ Sciori” o “Pan de Ton”, ovvero il pane di lusso, fatto di puro frumento e farcito con burro, zucchero e zibibbo.

Il pan del Toni

La seconda storia narra che il nobile Ughetto degli Atellani, falconiere di Ludovico il Moro, innamorato della bella Adalgisa, figlia del panettiere Toni, per stare accanto alla sua amata, vestisse di notte i panni da garzone. Proprio in quel periodo le vendite del forno di Toni erano in forte ribasso, a causa dell’apertura nelle vicinanze di una nuova bottega. Il giovane Ughetto decise allora di rubare una coppia di falchi al Moro e di venderli per comprare del burro. La notte, mentre impastava i soliti ingredienti per il pane, aggiunse al preparato anche tutto il burro acquistato. Il giorno successivo la bottega fu letteralmente presa d’assalto: si cominciava già a favoleggiare del pane più buono di Milano. Nei giorni successivi altri due falchi vennero sacrificati per l’acquisto di altro burro e di un po’ di zucchero da aggiungere all’impasto del pane. Milano impazziva per il “pane speciale” del Toni. Sotto le feste di Natale, Ughetto diede un ultimo tocco alla ricetta, aggiungendo uova, pezzetti di cedro candito e uva sultanina. Tutta Milano, in quei giorni prima di Natale, transitò dalla bottega per comprare quello che già tutti chiamavano “pangrande” o “pan del Toni” (da qui il termine panettone), da servire in tavola il giorno di Natale. Toni divenne ricco e i genitori di Ughetto, ostili al suo fidanzamento con Adalgisa, non ebbero più da lamentarsi e così, come in ogni fiaba che si rispetti, i due giovani si sposarono e vissero felici e contenti.20

La leggenda del garzone Toni

Il terzo racconto sul panettone è ambientato all’interno della corte di Ludovico il Moro, durante un sontuoso banchetto di Natale. Nelle cucine erano tutti molto impegnati nel preparare le pietanze, ma qualcuno inavvertitamente lasciò troppo a lungo in forno il dolce da servire a fine pasto, che si bruciò. Il capocuoco cera disperato perché il duca Ludovico lo avrebbe sicuramente condannato a morte. Ma quando ormai il suo destino sembrava segnato, si avvicinò a lui Toni, un povero sguattero, rivelando di aver tenuto per sé un pezzo dell’impasto del dolce perduto. Ci aveva aggiunto della frutta candita, uova, zucchero e uvetta, per avere qualcosa da mettere sotto i denti al termine del lavoro. Se il capocuoco avesse voluto, avrebbe potuto portare quel dolce a tavola. Non avendo altra scelta, il capocuoco infornò quella specie di forma di pane e, una volta pronto, lo fece servire. Il pan del Toni riscosse un gran successo, tanto che il cuoco fu obbligato a prepararlo per tutti i banchetti natalizi degli anni successivi, e presto l’usanza si diffuse tra tutta la popolazione milanese.

 

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