Di Ludovica Ambrogetti
Caro CORONAVIRUS,
ti scrivo questa lettera perché tu la possa leggere, prima o poi, o almeno percepirne l’essenza.
Sei arrivato in mezzo a noi, senza farti vedere.
Sei stato abile; nessuno se n’è accorto.
In gran silenzio hai fatto il giro del mondo, più e più volte.
Ti sei impossessato dei nostri corpi, rubandone la salute in alcuni casi, la vita in molti altri.
Abbiamo iniziato a conoscerti dagli effetti che, piano piano, sono risultati di una evidenza disarmante.
E la guerra ha avuto il suo inizio.
Tutti noi contro di te, che nel frattempo hai assunto la forma di persone a noi conoscenti, a noi amiche, a noi care, e anche le nostre.
Sul fronte di tante piccole battaglie ognuno di noi ha messo a dura prova le proprie emozioni, le proprie affettività, le proprie forze mentali e fisiche.
Ci hai sfiancato, ma non arreso.
E’ facile così: quello che mostri di te al mondo è solo la forza letale di un mostro che non ha forma, odore, sapore e neppure cuore.
Noi, invece, ci abbiamo messo tutto, ma proprio tutto ciò che avevamo a disposizione, a partire dai volti di quanti ti hanno combattuto nelle prime fila, pur coperti da mascherine che non possono però occultare sorrisi accennati o lacrime versate.
Ed è così che abbiamo capito.
Abbiamo capito che gli amici possiedono un volto, mentre ti tendono la mano.
Abbiamo capito che i nemici non si fanno vedere perché ti “voltano la schiena” (cit. EDI RAMA).
Abbiamo capito che le parole servono solo per muovere tante bandiere al vento, in mezzo alle quali c’è anche la nostra, ma perché?
Abbiamo capito che siamo un grande paese che non vuole arrendersi e non lo farà.
Abbiamo capito che possiamo farcela e ce la faremo.
Caro VIRUS a tela corona, a noi la sovranità di una italianità che grazie a te si è regalmente ritrovata.