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COSTRUIRE CON FRAGILITA’. LA CHIAVE PER RIMANERE IN PIEDI. ANCHE PASCAL SAREBBE D’ACCORDO

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All’umano essere sono state concesse due prerogative assolute, che lo salveranno: la capacità di “piegarsi senza spezzarsi” e la “facoltà di comprendere, pensando”.

Così scriveva il filosofo francese del XVII sec. Pascal:

“L’uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante. Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma quand’anche l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe pur sempre più nobile di chi lo uccide, dal momento che egli sa di morire e il vantaggio che l’universo ha su di lui; l’universo non sa nulla. Tutta la nostra dignità sta dunque nel pensiero. E’ in virtù di esso che dobbiamo elevarci, e non nello spazio e nella durata che non sapremmo riempire. Lavoriamo dunque a ben pensare: ecco il principio della morale”.

Tra i suoi “pensieri”, questo – Lui – pare portasse sempre con sé, cucito all’interno della sua giacca.

L’unico modo per sopravvivere a qualsiasi calamità naturale, emotiva rivoluzione, sentimentale crisi, personale o professionale delusione, sconfitta sportiva ed ogni altro “nefando” evento che ci piegale gambe, fino a farci cadere a terra, dopo un sonoro tonfo è il nostro essere “fragili”.

Nella fragilità risiede la chiave della sopravvivenza adattativa.

Ma perché?

Ci consente di reagire ad un’azione – negativamente impattante – in modo dinamico, dissipandone piano piano la violenta energia che ha scaricato su di noi, senza … spezzarci.

Siamo fragili come una canna al vento che si muove qua e là, trasformando l’energia che la colpisce in movimento leggero, grazie a cui può portare a compimento il ciclo vitale cui è stata “votata”, rimanendo illesa.

Ciò che, al contrario, fragile non è, anzi “fermo e forte sulle proprie posizioni” non è naturalmente disposto a “scuotersi”, per dissipare l’energia da cui viene colpito, e la sola conseguenza è che si spezzi irreversibilmente.

La fragilità dell’umano essere è una sua caratteristica di cui tutti sono dotati, ma che non viene usata nel medesimo modo da chiunque.

Ci sono personalità più empaticamente duttili, che ben riescono ad adattarsi alle situazioni anche le più negative, trovandovi in taluni casi un aspetto positivamente didascalico.

Ci sono, invece, persone che duramente si oppongono alle avversità, con quella risoluta intransigenza che, se una volta potrebbe esser loro di aiuto, nella maggior parte dei casi li sarà di insormontabile ostacolo.

Poiché apparteniamo tutti indistintamente ad un medesimo sistema che funziona grazie alla presenza di ogni sua piccola parte, di cui è molto di più che la semplice somma, il concetto di “fragilità” -nell’eccezione che abbiamo esplicitato- può trovare applicazione in qualsiasi contesto.

Ecco che, dunque, alla luce degli ultimi accadimenti che hanno colpito l’Albania; il sisma con la totalità delle sue tremende conseguenze, ci porta a fare una riflessione, da “canne pensanti” quali siamo.

Come si neutralizza l’effetto potenzialmente distruttivo di un evento sismico laddove si manifesta i tutta la sua energica forza?

Semplicemente, essendo quanto più fragili possibile.

Assecondando il flusso di energia, senza pensare di opporvi inutile resistenza.

E cosa più di tutte dovrebbe possedere questa caratteristica?

La domanda è ovvia e la risposta scontata: gli edifici.

Contro il terremoto a nulla vale una struttura rigidamente “resistente”; vincente sarà un sistema costruttivo “flessibilmente modulabile” che assorba e … dissipi l’energia…

Questo il segreto.

Del resto è ben noto che “l’energia non si crea e non si distrugge, ma si trasforma”.

Trasformare l’energia del sisma in un leggero movimento è la priorità assoluta da perseguire nei tavoli interdisciplinari ai quali, da ora in poi, dovranno sedersi tutte quelle figure “pensanti” le cui conoscenze son indispensabili per una progettazione integrata e per questo sostenibile.

Ludovica Ambrogetti

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