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Con il Coastal Rowing sempre sulla cresta dell’onda

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ANZIO (Roma) – La barca come una guaina a contenere il corpo, i piedi nelle staffe, i remi impugnati con fermezza, il volto esposto al vento per intuirne direzione e velocità, uno sguardo alle onde per individuarne la corrente e l’altezza, una rotta pianificata in modo da essere meno faticosa al rientro che all’andata. Questo è il Coastal Rowing (remata di costa), uno sport venuto dal nord, ancora di nicchia in Italia ma sempre più in crescita perché capace di sprigionare le potenzialità (e i desideri), di chi lo pratica. Nel centro Italia lo ha portato Maurizio Abbiasini che ad Anzio, sul litorale laziale, ha messo a frutto la sua esperienza maturata in Normandia, terra d’origine di questo sport che si prepara a diventare olimpico. Ad Anzio Maurizio allena un gruppo di atleti presso il circolo East Bay, non solo d’estate ma tutto l’anno. Ed è qui che inizia la sua lezione, a riva, con un vero e proprio cerimoniale.

“Il Coastal è uno sport scandito da una preparazione meticolosa – spiega l’allenatore – quasi un rituale che introduce il canottiere alla sua comunione con il mare e ogni momento, ogni movimento ha la sua importanza”. Per questo, durante le sue lezioni che non sono solo pratiche ma anche teoriche, l’allenatore si sofferma su ogni particolare perché la sicurezza di chi naviga è data dalla sua perizia, dalle sue conoscenze che non possono essere approssimative. Per diventare canottiere, oltre al coraggio e alla curiosità, all’esercizio fisico, ci vuole tanta attenzione. E così Abbiasini più che fare lezione racconta la favola della piccola imbarcazione che va alla conquista del mare immenso e ognuno dei suoi allievi non può non sentirsi il protagonista di questa impresa che andrà a compiere. L’allenatore si sofferma su ogni particolare, sin da quando la barca viene portata con un carrello dal rimessaggio alla riva. Descrive una serie di accorgimenti che vanno dal collocare i remi sullo scalmiere, sistemare il puntapiedi ad una distanza proporzionale all’altezza del rematore, all’inserire la deriva (la staffa a poppa che fa da pinna).

Poi, finalmente, annuncia la sua entrata in mare con il primo, dolce galleggiamento. “Solo allora – spiega l’allenatore – a stabilità conquistata, l’imbarcazione viene staccata dal carrello e inizia il suo viaggio”. Ogni volta è un’esperienza. Da sola la piccola barchetta che pesa solo 35 chili ed è lunga 6 metri se è singola (peso e lunghezza aumentano in proporzione ai canottieri che vi entrano), può iniziare a navigare con il suo “ciclo di voga”, un movimento a catena che prende vita dalla velocità e dalla potenza di chi ne è alla guida. Con un colpo di remi il canottiere prende il largo, quindi raccoglie le gambe al petto facendo scorrere, tirandolo a sé con i piedi, il carrello. A questo punto allarga le braccia issando i remi in verticale a prendere acqua per poi scatenare tutta la potenza delle gambe che si distendono puntando i talloni mentre un altro colpo di remi conclude il ciclo di voga e si prepara per una nuova “fase di attacco”. La conquista del mare è cominciata. Nei pochi minuti che sono trascorsi per avviare l’imbarcazione, infatti, essa ha già lasciato la riva ed ha preso il largo. L’uomo che la sta guidando ora è una cosa sola con il mare, lo domina. Lui stesso è il mare.

“Il canottiere di Coastal Rowing – fa notare Maurizio Abbiasini – non è un semplice rematore”. E a sentirlo descrivere da lui, innamorato di questo sport e del mare, viene da pensare ad una figura a metà tra il trapezista e il mago, che rema all’indietro e per questo non può vedere le onde ma ne intuisce la potenza attraverso la seduta e le mani che manovrano i remi. Una volta conquistato l’equilibrio coordinando braccia e gambe, egli diventa un tutt’uno con la sua barca e insieme ad essa viene plasmato dal mare che, calmo o in tempesta, non ha più segreti per lui. Il canottiere non sente la fatica, che pure è tanta, impegnato com’è a modulare, calibrare i suoi movimenti per accompagnarle, quelle onde, e non per combatterle. Ne diventa parte, si trasforma lui stesso in un’onda anche quando questa cresce e diventa un muro che nasconde l’orizzonte e minaccia di richiudersi sopra di lui. Il canottiere sa che questo non può accadere. “Questione di equilibrio – precisa Abbiasini – requisito imprescindibile per chi pratica questo sport temerario e – ammette sorridendo – un po’ da squilibrati”. A metà strada-potremmo dire – tra l’esercizio spirituale e la follia.

Fratello più giovane del canottaggio, il Coastal Rowing se ne differenzia per essere praticato su mare mosso e non su acqua piatta. Per questo approccio più esuberante fu brevettata negli anni ’80, in Francia, l’imbarcazione utilizzata che è aperta a poppa e autosvuotante per permettere all’acqua di entrare e uscire come scivolandoci sopra. Diffusosi soprattutto in Friuli, in Liguria e sui laghi, nel centro Italia Maurizio Abbiasini, che ha maturato esperienza gareggiando sul tempestoso mare della Normandia, lo sta facendo conoscere ad Anzio dove lo insegna ai suoi allievi. Più che come uno sport, lo presenta anche come una pratica di vita sana, a contatto con l’aria e l’acqua e quindi in connessione con la natura. Il Coastal, infatti, sembra uno sport estremo ma a guardarlo bene è un inno alla vita e alla intelligenza umana perché si pone come ricerca perenne di equilibrio e di stabilità e di quelle emozioni grandissime cui spesso si rinuncia rimanendo nel conforto del proprio perimetro. Qualcosa che ricorda la sfida dell’Ulisse dantesco alle Colonne d’Ercole.

“Certo – ammette Maurizio Abbiasini – non che questo obiettivo sia facile da raggiungere ma il sacrificio è ripagato dal piacere che si prova nel sentirsi parte di qualcosa di grande”. Con la sua sfida ai limiti umani, la sua esigenza di duro allenamento fisico e di coraggio che sconfina nella temerarietà, il Coastal, mentre si prepara per il prossimo appuntamento con le Olimpiadi, si delinea sempre di più come una riflessione sulla vita e sul suo senso ma esso si rivela solo a chi sa coglierlo sul momento tenendo in tiro contemporaneamente il corpo e la mente. “Non c’è un piacere – conclude non a caso Maurizio – più grande del rendersi conto di essere in bilico, in una posizione privilegiata come può esserlo la cresta di un’onda e di sentirsene parte”. Filosofia e sport rappresentano un connubio non nuovo ma ad Anzio la miscela si colora di una saggezza nuova, fatta di una spericolata e apparentemente da non credere ricerca di sano equilibrio.

Gloria Zarletti

 

 

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